giovedì 15 marzo 2012

E io sbavo.


Mi fermavo a ogni passo; mi mettevo prima alla lontana, poi sempre piú da vicino a girare attorno a ogni sassolino che incontravo, e mi maravigliavo assai che gli altri potessero passarmi avanti senza fare alcun caso di quel sassolino che per me intanto aveva assunto le proporzioni d'una montagna insormontabile, anzi d'un mondo in cui avrei potuto senz'altro domiciliarmi. Ero rimasto cosí, fermo ai primi passi di tante vie, con lo spirito pieno di mondi, o di sassolini, che fa lo stesso.  

...che a vedermi addosso gli occhi della gente mi pareva di sottostare a un'orribile sopraffazione pensando che tutti quegli occhi mi davano un'immagine che non era certo quella che io mi conoscevo ma un'altra che io non potevo né conoscere né impedire; altro che dirle, mi veniva di farle, di farle, le pazzie, come rotolarmi per le strade o sorvolarle a passo di ballo, ammiccando di qua, cacciando fuori la lingua e facendo sberleffi di là... E invece andavo cosí serio, cosí serio, io, per via. E anche voi, che bellezza, andate tutti cosí serii...   

...un nome.Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest'albero, respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest'albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo.  

(Uno,nessuno e centomila - Luigi Pirandello) 


Attimi, attimi, attimi. Le tenebre si sono carbonizzate di silenzio.

 ...così intercalo nelle mie riflessioni sul cielo e sulla terra cose che non brillano di luce solare e che non si calpestano con i piedi: le meraviglie fluide dell'immaginazione.
M'indoro di tramonti ipotetici,ma l'ipotetico è vivo nella supposizione.Mi rallegro di brezze immaginarie,ma l'immaginario vive quando lo si immagina.Ho un'anima per varie ipotesi,ma quelle ipotesi hanno un'anima loro e perciò mi offrono l'anima che hanno.  

Allora,nella spiaggia il cui unico rumore erano le onde o il vento che passava alto come un grande aeroplano inesistente, mi abbandonavo a un nuovo tipo di sogni: cose informi e soavi, meraviglie dell’impressione profonda, senza immagini, senza emozioni, pulite come il cielo e le acque, che vibravano come i flutti di un mare che si erge dal fondo di una grande verità; tremulamente, di un obliquo azzurro in lontananza che nell’avvicinarsi diventa verde con trasparenze di altri toni verde-sporchi, e dopo aver  infranto stridendo le mille braccia sfatte e averle allungate in sabbia bruna e spuma sbavata, congregando in sé tutte le risacche, i ritorni alla libertà dell’origine, la divina nostalgia, le memorie, come questa che senza forma non mi duoleva: nostalgia di uno stato anteriore, felice perché buono o per qualcos’altro, un corpo di nostalgia con anima di spuma, il riposo, la morte, il tutto o il niente che come un grande mare circonda l’isola di naufraghi che è la vita.
E io dormivo senza sonno, ormai lontano da ciò che sentendo vedevo, crepuscolo di me stesso, rumore di acqua fra gli alberi, quiete dei grandi fiumi, freschezza delle sere tristi, lento palpitare del petto bianco del sonno infantile della contemplazione.

(Il libro dell'inquietudine - Fernando Pessoa)